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Ricorso al TAR del Lazio contro l'Ambasciata d'Italia a Islamabad.

Il TAR Lazio accoglie il ricorso di un imprenditore pachistano contro il diniego del visto d'ingresso per motivi di affari.

Ricorso al TAR del Lazio contro l'Ambasciata d'Italia a Islamabad.

 

 

 

 

 

 

 

 

Con sentenza e 5420/2017, la Sezione Terza Ter del TAR Lazio, ha accolto il ricorso presentato da un imprenditore pachistano contro il provvedimento di diniego del visto d'ingresso per motivi d'affari, emanato dall'Ambasciata d'Italia a Islamabad. 

Il ricorrente aveva chiesto il visto d'ingresso per recarsi in Italia al fine di svolgere alcune trattative commerciali con aziende italiane. Tuttavia, l'ufficio consolare rigettava la domanda di visto, principalmente a causa di precedenti dinieghi emanati nei confronti dello stesso ricorrente da parte di altri Paesi Schengen. Così al cittadino pachistano non restava altro che impugnare il provedimento di rigetto dell'Ambasciata d'Italia a Islamabad innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, competente in materia di visti d'ingresso per affari.

L'imprenditore pachistano, rappresentato e difeso dall'Avv. Santaniello Luca, ha quindi presentato ricorso al TAR del Lazio, contestando, tra le altre cose, di non aver ricevuto alcun preavviso di rigetto e che il provvedimento dell'ambasciata non fosse adeguamente motivato.

Il TAR del Lazio accoglieva il ricorso, affermando che a sostegno del diniego, devono comunque sussistere effettive ragioni, e che la norma derogatoria dell'obbligo di motivazione (di cui all'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998) deve essere intesa in modo costituzionalmente conforme, e quindi non già nel senso di legittimare l'amministrazione ad agire arbitrariamente, ma nel senso che nei casi in cui il visto può essere legittimamente negato (purchè, beninteso, vi sia una ragione per farlo), il diniego può non essere motiviato, restando peraltro impregiudicato il potere del giudice di verificare la legittimità del provvedimento.

Il tribunale amministrativo aggiungeva, inoltre, che il "rischio migratorio" dedotto dall'ambasciata non risultava adeguatamente giustificato, in quanto si riferiva soltanto a precedenti dinieghi.

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